Omelia per la S. Messa nella Cena del Signore

9 aprile 2020

Carissimi amici,

nonostante tutto in questo pomeriggio di inizio primavera risplende sin d’ora la luce della Pasqua del Signore. Anche questo cenacolo, seppur vuoto, è carico di luce perchè vi è, ancora una volta, la presenza di questa mensa imbandita dal Signore stesso per nutrire la nostra comunità sempre desiderosa di Lui.

Siamo tutti riuniti nelle nostre case, sintonizzati attraverso i mezzi di comunicazione per vedere il mistero della Pasqua che si compie. Ma questa volta Gesù ci sorprende! Nella preghiera incessante al Signore, in questi giorni, gli ho chiesto come fecero i discepoli: “Signore, dove vuoi che prepariamo per celebrare la Pasqua per la nostra comunità?” (cfr Mt 26,17). Ed egli mi ha detto e oggi ce lo ripete: “la celebrerò a casa tua!”.

Si, a casa nostra accade la Pasqua di passione, morte e risurrezione di Gesù.

In realtà, se ci studiamo bene l’origine della Pasqua, ci accorgiamo che la Pasqua ebraica aveva una connotazione familiare: era tutta la famiglia che, radunata insieme, nella preghiera e nella gioia della tavola, magnificava il Signore. Pensate, era così sentita questa festa che le porte delle case degli ebrei, erano tenute spalancate, perché anche il forestiero di passaggio potesse entrare e partecipare al banchetto. In questa festa, la mamma aveva un ruolo tutto particolare. Era lei che, come un angelo di luce, rivestiva di luce e di festa la mensa. Nel mondo ebraico, la Pasqua con i suoi riti aveva il sapore dell’intimità familiare, il calore della casa. (Oggi invece: Natale con i tuoi, Pasqua con chi vuoi). Perciò, il primo giorno della festa allo spuntare della prima stella, tutta la famiglia si radunava attorno alla tavola  per ricordare l’evento di un popolo che dopo aver lasciato la schiavitù dell’Egitto intraprendeva il cammino della libertà. Capite, allora la differenza che c’è tra la nostra Pasqua e quella ebraica. La nostra si svolge nel perimetro delle nostre chiese, quella ebraica, quella che Gesù ha celebrato da piccolo e da giovane, ha il sapore familiare. Lo stesso Gesù vive la sua ultima cena in questo contesto domestico, con i dodici, con alcune donne e con sua madre Maria. Era la famiglia di Gesù ad essere radunata nel cenacolo per ricordare e rivivere un evento passato con uno slancio di novità verso il futuro. Il nome di questo futuro è: dono.

Dono è servizio

Il Dono lo vediamo nel gesto di lavare i piedi: un gesto che abitualmente era compiuto dagli schiavi. Da questo comprendiamo che se una famiglia intende essere davvero famiglia, in essa si deve respirare l’aria della Pasqua. E il primo atteggiamento che da essa deve emergere non può non essere il servizio. Servizio è quello compiuto dalla mamma quando essa si piega attraverso umili gesti sui figli. Servire è la condizione unica perché la famiglia si mantenga in piedi.

Dono è condividere

Il dono lo vediamo nel pane spezzato e condiviso. Il pane – se ci pensiamo –  ha in sé una storia di morte, di lavoro, di dedizione. Sappiano i figli che quando mangiano quel pane, in esso è condensato il sapore del lavoro e del sudore del padre e della madre. E dal pane spezzato e condiviso si diventa famiglia unita. Gesù, come capofamiglia, è lì, al centro di questa comunità dei dodici; ed è lì come un pane condiviso. La famiglia cristiana diventerà, allora, a partire dai genitori, luogo in cui deve circolare l’esemplarità della vita attraverso gesti di dono: solo così potrà ritornare a coniugare quelle stesse parole vissute da Gesù e che non poche volte sono state messe da parte. Sono le parole di sempre: rinunzia, sacrificio, generosità: elementi tutti di cui i nostri ragazzi, non poche volte, sono privi.

Dono è imitare Cristo

Vi ricordo, infine, il non piccolo impegno che Gesù ci lascia questa sera: “Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13,15). Gesù oggi ci dice che per continuare a far sì che la sua Pasqua diventi la nostra Pasqua, dobbiamo rimanere nel suo amore.

Carissime famiglie e carissimi tutti, restiamo nell’amore di Cristo, allora sì, la Pasqua non sarà una scadenza di calendario, ma segnerà le nostre cadenze familiari con le sue vicende liete e tristi. Se mettiamo al centro Cristo, divenuto pane, vino e servo per amore allora davvero possiamo gridare al mondo: “tutto andrà bene!”